
Se avessimo la possibilità – e, chissà, forse la fortuna – di poter prendere una macchina del tempo che possa portarci indietro negli anni che furono, ci renderemmo conto di come il passato sia memoria importante di cui fare baluardo fedele per comprendere anche gli stili ed i costumi di oggi.
Facciamo finta di salirci, quindi, su quella macchina, e di catapultarci, anima e corpo, negli anni’20, anni in cui nella storia del cinema e del costume, iniziavano a palesarsi figure, donne, soprattutto, destinate a divenire icone indiscusse ed indiscutibili di un sapere contemporaneo.
Ovviamente, per fare ciò, dobbiamo partire da due non colori, il bianco ed il nero, che, se posti nel pensiero comune di oggi, meglio ci fanno comprendere quanto gli stessi ci abbiano dato la possibilità in moltissime arti di definire dettagli di un complesso stato delle cose che, ora come allora, era necessario agire nelle coscienze.
Parliamo di arte e soprattutto di quella fotografia in bianco e nero che ha ritratto donne del calibro di Louise Brooks e Marlene Dietrich riconosciute da sempre come “dive di tempi andati”.
Il divismo, quindi, e la sua capacità di inserirsi non soltanto nella società ma anche nella mente umana tanto da divenire matrice assoluta di bellezza estetica ed estatica.
E allora, via con un’analisi di particolari che, nel mondo della moda e dell’hair-styling, nel 2020 tornano prepotentemente alla memoria; come il taglio di capelli della Brooks – sapevate che fu proprio lei ad ispirare la Valentina di Crepax, il fumetto più famoso al mondo e tradotto in moltissime lingue? – che diede vita a quello che divenne, proprio negli anni’20, il “taglio alla garconne” o più comunemente conosciuto “alla maschietto”, grazie ad una frangia definita e geometrica e a una lunghezza di capelli che contornavano il viso di una donna bellissima, tanto da esaltarne lo sguardo intelligente e far emergere dettagli del suo volto che catturarono l’attenzione internazionale sia della moda che del cinema di quegli anni.
Ed ancora, la meravigliosa Dietrich, divenuta famosa grazie al film del 1930 “L’Angelo Azzurro” di Josef Von Sternberg, la quale già anticipava inconsapevolmente uno stile androgino ripreso negli anni sia da Chanel che da Yves Saint Laurent.
Il merito? Aver scelto di indossare tailleur tipicamente maschili, quasi informi, per affacciarsi ad un mondo che criticava proprio la sua assoluta libertà e quel suo assoluto modo di sorridere oltre ogni confine di appartenenza.
Anche per la Dietrich le sue onde medie fungono da perno fondamentale per comprendere le tendenze Primavera/Estate 2020, in un rimando storico che diviene ricorso assoluto di memoria collettiva.
Bene, risaliamo ,dunque, sulla nostra macchina del tempo ed arriviamo agli anni’90, periodo che nel costume e nella moda vede la nascita delle cosiddette “top model” ritenute tali non soltanto per le cifre astronomiche di guadagno, ma anche per la loro capacitò di rendere il difetto fisico bellezza oggettiva.
Ma chi fu il primo a capire quanto l’archetipo della top model dovesse iniziare a dettare le regole della fotografia contemporanea, per giunta in un bianco e nero ancora una volta determinante?
Il fotografo Peter Lindbergh, scomparso alla fine del 2019, il quale comprese come la strada fosse fucina creativa di scoperta non soltanto di volti da immortalare, ma anche di anime e caratteri da imprimere nelle retine di noi fruitori finali, ponendo le modelle all’interno dei loro contesti abituali (strade metropolitane, macchine, spiagge assolate, giardini incontaminati).
Insomma, icone che se sono ancora definite tali, devono il loro successo grazie a chi ha creduto in loro, a chi ha scelto di fare della propria arte medium necessario di costume e di pensiero.
Ed ecco, quindi, che il taglio di capelli di una Cindy Crawford giovanissima strizzano l’occhio proprio a quel taglio alla maschietto della Brooks così come una Schiffer bionda ma ancora scanzonata prende la mano ad uno stile “alla Chanel anni’20”, ritmando un tempo che non pone limiti bensì sovverte toni e sguardi facendone memoria.
Bene, siamo giunti al termine di un primo viaggio sulla macchina del tempo.
Scendiamo nel nostro mondo, prendiamo fiato, chiudiamo gli occhi e comprendiamo, ora come allora, quanto la necessità di prendere una parte del tutto in ogni forma d’arte possa portarci a decodificare il nostro presente, comprendendo mode ma, soprattutto, ponendoci un interrogativo necessario: dove stiamo andando?
Non sappiamo ancora quale sia la risposta e se ce ne sarà soltanto una ma quello che possiamo ora sapere è da dove proveniamo e quanto sia importante prendere nuovamente spunto da chi, da una semplice immagine, abbia solcato strade infinite di coscienza e di azione, tanto da divenire tendenza assoluta anche del nostro presente. La memoria, quindi. Senza se e senza ma.
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Staff – Momento In